16 dicembre 2008

solo uno sfogo

È qui, in questa sorta di trascurato diario che oggi ho trovato il conforto della confidenza con sé stessi. Ciò che mi assilla in questo periodo riguarda il fatto che non riesco a riconoscere persone che avevo anche vicine, persone con le quali ho condiviso un sacco di cose e con le quali ho fatto anche cose che forse non avrei dovuto…
E non parlo in generale. Mi riferisco proprio ad una specifica persona che per me è stata una grande passione e che proprio per questo, forse, adesso mi ha fatto sprofondare in una tristezza totale.
Eravamo molto uniti, affiatati, complici, confidenti… ovviamente io avrei voluto anche altro, e lui no… ma questo non ha importanza, anche perché poi, più avanti, sarebbe stato lui a venire da me e propormi una sorta di mutuo soccorso per sopperire alle rispettive mancanze.
Insieme abbiamo bruciato foto, abbiamo bruciato a scuola, abbiamo bruciato le tappe…
Beh, tanto per entrare nella questione, mi è capitato quasi per caso di ritrovarlo, anche se non di persona, ma solo, diciamo, virtualmente… e così ho potuto vedere, dopo circa 10 anni, come e cosa è diventato… e mi chiedo come possa essere quella stessa persona che mi faceva fondere il cervello. O forse, più semplicemente, lui era tale e quale adesso, ma essendo io appunto col cervello fuso non me ne accorgevo.
E poi mi domando… ma perché le cose cambiano? Perché non ci può essere una certezza, una, che rimanga tale per sempre, per tutta la vita, senza mutare mai…
Trovo sconvolgente vedere da chi e cosa sono circondata… assoluto menefreghismo per le sofferenze degli altri, totale mancanza di un benché minimo rispetto per altro, assenza totale di comprensione, mancanza di attenzione verso la dignità altrui. E basterebbe così poco! Cosa ci vuole a pensare che la fortuna non è un termine di paragone per ritenersi migliori degli altri. Che non è per una serie di circostanze che hanno reso la nostra vita un po’ più facile che ci dobbiamo sentire giustificati a disprezzare tutto ciò che è “altro”.
Mi guardo intorno e vedo che il massimo della libidine è la balla del sabato sera, la macchina nuova, la seratona a sganzarsi. Non che io voglia essere banale, ma è questo quello che emerge da quel mostro virtuale che ho scoperto da poco. Non che abbia niente in contrario col il divertimento e lo svago, la leggerezza e la spensieratezza, anzi, tutt’altro… ma credo che passati i vent’anni, per non dire i trenta e i quaranta, forse un pochino meno vuoti si potrebbe essere. E come è possibile inneggiare a certi idoli? Ma la storia allora non insegna proprio niente? Ma non abbiamo capito che da certe cose bisogna fuggire, si devono allontanare, non fomentare ed incoraggiare? E come è possibile incitare alla violenza, all’intolleranza, al sopruso del più forte contro il più debole. Queste cose mi fanno proprio arrabbiare. Sento una profonda tristezza… soprattutto quando mi accorgo che non è che questi atteggiamenti siano poi una eccezione, ma sono la regola che fa girare questo universo del cavolo…
Boh, resto abbastanza allibita e poi mi ripeto per l’ennesima volta quanto fortunata io sia (appunto) ad avere le mie sorelle (e non solo)… e a loro, per natale, farò in immenso regalo, enorme, spropositato, mai visto (amano l’ironia!): dirò loro quanto io le adori per essere quelle che sono… e per volermi bene senza che io abbia niente da dare in cambio… e ad una in particolare dirò che mi manca tantissimo…

8 luglio 2008

Per Emanuela

Cara Manu,
oggi è il giorno del tuo compleanno. È un po’ che mi scervello per farmi venire un’idea per sorprenderti. Ma, si sa, la mia fantasia arriva fin dove può… in compenso mi è venuta in mente questa cosa: “Perché non le scrivo un post per dirle quanto io le voglia bene, cosicché rimanga indelebile il mio augurio?”.
E così eccomi qui, per dirti che gli auguri, in questo giorno, a te rivolti, sono assolutamente immensi, sinceri e pieni di quell’amore che si prova solamente per… per se stessi. Nel senso che essere se stessi senza una presenza che ti accompagna da sempre, non è più essere se stessi ma altro. Sì, lo so che ora diresti: “E domani? Chi lo sa!”; ma per il momento preferisco lasciar perdere queste tue riflessioni.
Non vorrei essere troppo sdolcinata per non cadere, come mia abitudine, nel patetico. Ma mi è un po’ difficile se ti devo dire quello che penso di te. E cioè che sei una persona straordinaria, che mi piace tanto il tuo modo di essere sempre disponibile e generosa. Che mi piace sapere che tante cose di te non le conosco perché le riservi ad altri… del resto trovo giusto sia così. Che poi questo mi fa pensare che di te ci sarà sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
E poi mi piace che tu faccia parte, come dire, della routine. Non nel senso di una presenza scontata e indifferente, apatica. Ma nel senso di una presenza che sento quotidianamente, dietro gli angoli, nei miei cassetti. Anche se non ti vedo per qualche tempo.
Sei uno spirito, un fantasma che non può dileguarsi ma che rischio, facendo una foto, di vederne i contorni tra le mie cose.
O quando la sera mi guardo allo specchio dove il vapore si dissolve, ti vedo spuntare alle mie spalle, come un vampiro, dal nulla… ma non mi spavento e ti dico: “Sei qui? Passami il dentifricio!”.
È per questo che, nonostante tu creda che io mi arrabbi, mi offenda, me la prenda, quando non rispondi alle mie mail o mi dici che mi chiami e poi non lo fai, per me non conta. Tanto so che sei lì, che hai altro da fare, che prima o poi mi dedicherai del tempo, senza fretta, senza impegno…

Forse penserai che scriverti qui non ha un gran senso, dato che questo mio blog non lo legge mai nessuno.
Ma non importa. A me basta che lo legga tu.
Il mio regalo per te consiste in questo: dedicarti dello spazio nello spazio più mio che ho.
L’unico inconveniente è che non lo posso incartare.
Ma magari ti regalerò una scatolina simbolica dove faremo finta ci sia questo angolo di mondo virtuale… e ne farò un bel pacchettino per te.
Ciao.
http://it.youtube.com/watch?v=7vY1peG8gHQ

30 giugno 2008

Albatros

Souvent, pour s'amuser, les hommes d'équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.
À peine les ont-ils déposés sur les planches,

Que ces rois de l'azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d'eux.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!

Lui, naguère si beau, qu'il est comique et laid!
L'un agace son bec avec un brûle-gueule,
L'autre mime, en boitant, l'infirme qui volait!
Le Poète est semblable au prince des nuées

Qui hante la tempête et se rit de l'archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l'empêchent de marcher.

Charles Baudelaire

Il poeta è come l’Albatro. Ma non solo il poeta.
Forse tutti ci sentiamo un po’ Albatro, a volte. Quando ci troviamo in situazioni di imbarazzo, di disagio, in cui la forza che avevamo, la disinvoltura, l’eleganza, vengono meno. Ci sentiamo osservati, indagati. Vengono meno la leggerezza, il librarsi con agilità e semplicità tra i venti della vita. Ci sentiamo goffi sotto sguardi giudicanti, ci sentiamo impacciati tra l’agilità altrui.
E vorremo tornare lassù, tra i nostri spazi, nei nostri mondi che ci cullano senza giudicarci, che ci accolgono comunque siamo, che per noi hanno sempre un angolo per proteggerci, per farci rifuggire.
Rifuggire da chi ci tormenta, da chi ci stuzzica con giochi infastidenti, da chi si permette di giudicarci, di deriderci, di fare cerchio attorno a noi e sbeffeggiare il nostro imbarazzo.
Forse siamo tutti un po’ Albatro.
Forse dovremmo librarci nell’aria, isolarci a volte nel nostro silenzio, lasciarci alle spalle, lontano, tutto e tutti… stare soli con noi stessi.
E tornare solo tra chi, una volta atterrati, camminerà lento come noi, pur sapendo correre… solo per farci sentire uguale a lui, sulla stessa terra, sugli stessi piani… parlandoci lentamente, semplicemente, con pazienza…
per permetterci di capire e per farci sentire che si può, senza vergogna, essere se stessi.


Traduzione
Spesso, per divertirsi, gli uomini d'equipaggio

Catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
Che seguono, indolenti compagni di vïaggio,
Il vascello che va sopra gli abissi amari.
E li hanno appena posti sul ponte della nave
Che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro
Pietosamente calano le grandi ali bianche,
Come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.
Com'è goffo e maldestro, l'alato viaggiatore!
Lui, prima così bello, com'è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
L'altro, arrancando, mima l'infermo che volava!
Il Poeta assomiglia al principe dei nembi
Che abita la tempesta e ride dell'arciere;
Ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
Per le ali di gigante non riesce a camminare.

http://it.youtube.com/watch?v=Z-DVi0ugelc

20 giugno 2008

Capitoli

Ma cosa vuol dire che ad un certo punto della nostra vita si chiude un capitolo? Che qualcosa finisce, che si giunge al termine di un percorso.
Però se la vita è come un libro, come si dice, un capitolo fa parte del libro, e quando si volta pagina se ne incontra un altro, legato al precedente, che fa parte di un tutto e che con il resto delle pagine ha un forte legame.
Penso a questo perché oggi mi sento un po’ strana.
Mi sento appunto di essere giunta ad una tappa. Una tappa che comporta la fine del percorso affrontato fin qui, ma che mi proietta in una nuova direzione, per andare oltre, per raggiungere altri obiettivi, per scoprire cose e persone nuove, per rinsaldare e fortificare legami già esistenti.
Mi sono sentita dire che non è bello pensare che si sia chiuso un capitolo, che così dicendo pare si voglia porre fine ad un qualcosa.
Ma non è così. Quello che intendo, ma che ovviamente non sono riuscita ad esprimere (a volte mi chiedo a cosa mi serva sapere e poter parlare se poi non lo faccio, ma questo è un altro discorso) è che adesso si volta pagina e si continua la lettura di questo bellissimo libro iniziato qualche tempo fa. Ed è un libro che man mano ci si addentra nella lettura, è ricco di colpi di scena, di sorprese, di riflessioni…

È il libro della vita:
si volta pagina, la storia continua, i personaggi si ritrovano…
lo si posa un po’ sul comodino per riposare…
lo si riprende in mano e dopo averlo toccato ed esplorato, dopo aver sentito l’odore della carta, riguardato il dorso per l’ennesima volta, quasi come un saluto, lo si riapre e la lettura continua.

10 giugno 2008

Lupin piangerebbe...

Giuramento di Ippocrate.
"Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:
di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;
di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;
di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;
di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti morali;
di evitare, anche al di fuori dell' esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione;
di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica;
di prestare assistenza d' urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell'Autorità competente;
di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;
di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
di astenermi dall'"accanimento" diagnostico e terapeutico."

Ho letto quello che è successo alla clinica Santa Rita di Milano.
Mi sento schifata, amareggiata, perplessa.
Mi chiedo cosa significhi giurare, promettere, prendere un impegno. Mi chiedo che valore abbia la parola che si dice, cosa significhi leggere con trasporto un testo e accogliere l’applauso di chi ti sente pronunciare certe frasi, certe intenzioni.
Mi chiedo come si possa arrivare ad una tale nulla considerazione della vita dell’altro, della sofferenza altrui. In nome di cosa poi? In nome del denaro. Non se ne ha mai abbastanza. Possibile che un medico che suppongo abbia di che vivere, di che nutrire i propri figli, di che potersi permettere di far scorrere la propria vita serenamente, soddisfacendo i propri bisogni e i propri capricci, possa ridursi a compiere simili atti bestiali, orribili, degni della più misera immaginazione.
Ma come fanno questi individui a guardare negli occhi le proprie figlie al ritorno dal lavoro dove hanno asportato un seno ad una ragazza, e ridere con loro parlando dei fidanzatini.
Con che faccia si recano in visita dai genitori anziani raccomandandosi per la loro salute, prima di fare un salto al golf club.
Mi auguro che li accompagni per tutta la vita una vergogna insostenibile per quello che hanno fatto, con premeditazione, organizzandosi, amministrando, pianificando.
Che camminino a testa bassa, senza mai alzare lo sguardo, vedendo marciapiedi e cicche e mai più il sole.
Quel primario ha scritto un sms: “io sono Arsenio Lupin”. Beh, Lupin mai avrebbe fatto cose del genere e… mai si sarebbe fatto beccare. Spero tanto che Zazà ti seghi le gambe!
Mi ricorda un po’ Josef Mengele.

http://it.youtube.com/watch?v=dM4bIq7AwRs

11 febbraio 2008

piccola Viola

Viola, piccola Viola. Ieri te ne sei andata. Hai lasciato la mamma e il papà e Margherita. Piccola Viola, avevi solo due anni. Ti abbraccio e ti bacio, mentre ricordo di averti tenuta in braccio, a manina e sorretta mentre ricominciavi a camminare. Ricordo come ridevi quando giocavamo con i palloncini. E come allungavi le manine per prendere un pallone. E come dicevi di sì, per far capire che sapevi con chi stavi parlando anche se ormai non ci vedevi più.
Adesso sarai lassù, finalmente serena. Finalmente avrai finito di soffrire.
Una cosa ti raccomando, conforta i tuoi genitori. Quei genitori che sono stati esempio di grande coraggio e forza. Quella mamma così generosa e altruista, con una parola gentile per tutti.
Piccola Viola dagli occhi azzurri, ti aspetto per raccogliere ancora le margheritine al parco.


http://video.libero.it/app/play?id=1ce7300391754869047dd658ab8eb5fe