30 giugno 2008

Albatros

Souvent, pour s'amuser, les hommes d'équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.
À peine les ont-ils déposés sur les planches,

Que ces rois de l'azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d'eux.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!

Lui, naguère si beau, qu'il est comique et laid!
L'un agace son bec avec un brûle-gueule,
L'autre mime, en boitant, l'infirme qui volait!
Le Poète est semblable au prince des nuées

Qui hante la tempête et se rit de l'archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l'empêchent de marcher.

Charles Baudelaire

Il poeta è come l’Albatro. Ma non solo il poeta.
Forse tutti ci sentiamo un po’ Albatro, a volte. Quando ci troviamo in situazioni di imbarazzo, di disagio, in cui la forza che avevamo, la disinvoltura, l’eleganza, vengono meno. Ci sentiamo osservati, indagati. Vengono meno la leggerezza, il librarsi con agilità e semplicità tra i venti della vita. Ci sentiamo goffi sotto sguardi giudicanti, ci sentiamo impacciati tra l’agilità altrui.
E vorremo tornare lassù, tra i nostri spazi, nei nostri mondi che ci cullano senza giudicarci, che ci accolgono comunque siamo, che per noi hanno sempre un angolo per proteggerci, per farci rifuggire.
Rifuggire da chi ci tormenta, da chi ci stuzzica con giochi infastidenti, da chi si permette di giudicarci, di deriderci, di fare cerchio attorno a noi e sbeffeggiare il nostro imbarazzo.
Forse siamo tutti un po’ Albatro.
Forse dovremmo librarci nell’aria, isolarci a volte nel nostro silenzio, lasciarci alle spalle, lontano, tutto e tutti… stare soli con noi stessi.
E tornare solo tra chi, una volta atterrati, camminerà lento come noi, pur sapendo correre… solo per farci sentire uguale a lui, sulla stessa terra, sugli stessi piani… parlandoci lentamente, semplicemente, con pazienza…
per permetterci di capire e per farci sentire che si può, senza vergogna, essere se stessi.


Traduzione
Spesso, per divertirsi, gli uomini d'equipaggio

Catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
Che seguono, indolenti compagni di vïaggio,
Il vascello che va sopra gli abissi amari.
E li hanno appena posti sul ponte della nave
Che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro
Pietosamente calano le grandi ali bianche,
Come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.
Com'è goffo e maldestro, l'alato viaggiatore!
Lui, prima così bello, com'è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
L'altro, arrancando, mima l'infermo che volava!
Il Poeta assomiglia al principe dei nembi
Che abita la tempesta e ride dell'arciere;
Ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
Per le ali di gigante non riesce a camminare.

http://it.youtube.com/watch?v=Z-DVi0ugelc

20 giugno 2008

Capitoli

Ma cosa vuol dire che ad un certo punto della nostra vita si chiude un capitolo? Che qualcosa finisce, che si giunge al termine di un percorso.
Però se la vita è come un libro, come si dice, un capitolo fa parte del libro, e quando si volta pagina se ne incontra un altro, legato al precedente, che fa parte di un tutto e che con il resto delle pagine ha un forte legame.
Penso a questo perché oggi mi sento un po’ strana.
Mi sento appunto di essere giunta ad una tappa. Una tappa che comporta la fine del percorso affrontato fin qui, ma che mi proietta in una nuova direzione, per andare oltre, per raggiungere altri obiettivi, per scoprire cose e persone nuove, per rinsaldare e fortificare legami già esistenti.
Mi sono sentita dire che non è bello pensare che si sia chiuso un capitolo, che così dicendo pare si voglia porre fine ad un qualcosa.
Ma non è così. Quello che intendo, ma che ovviamente non sono riuscita ad esprimere (a volte mi chiedo a cosa mi serva sapere e poter parlare se poi non lo faccio, ma questo è un altro discorso) è che adesso si volta pagina e si continua la lettura di questo bellissimo libro iniziato qualche tempo fa. Ed è un libro che man mano ci si addentra nella lettura, è ricco di colpi di scena, di sorprese, di riflessioni…

È il libro della vita:
si volta pagina, la storia continua, i personaggi si ritrovano…
lo si posa un po’ sul comodino per riposare…
lo si riprende in mano e dopo averlo toccato ed esplorato, dopo aver sentito l’odore della carta, riguardato il dorso per l’ennesima volta, quasi come un saluto, lo si riapre e la lettura continua.

10 giugno 2008

Lupin piangerebbe...

Giuramento di Ippocrate.
"Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:
di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;
di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;
di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;
di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti morali;
di evitare, anche al di fuori dell' esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione;
di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica;
di prestare assistenza d' urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell'Autorità competente;
di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;
di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
di astenermi dall'"accanimento" diagnostico e terapeutico."

Ho letto quello che è successo alla clinica Santa Rita di Milano.
Mi sento schifata, amareggiata, perplessa.
Mi chiedo cosa significhi giurare, promettere, prendere un impegno. Mi chiedo che valore abbia la parola che si dice, cosa significhi leggere con trasporto un testo e accogliere l’applauso di chi ti sente pronunciare certe frasi, certe intenzioni.
Mi chiedo come si possa arrivare ad una tale nulla considerazione della vita dell’altro, della sofferenza altrui. In nome di cosa poi? In nome del denaro. Non se ne ha mai abbastanza. Possibile che un medico che suppongo abbia di che vivere, di che nutrire i propri figli, di che potersi permettere di far scorrere la propria vita serenamente, soddisfacendo i propri bisogni e i propri capricci, possa ridursi a compiere simili atti bestiali, orribili, degni della più misera immaginazione.
Ma come fanno questi individui a guardare negli occhi le proprie figlie al ritorno dal lavoro dove hanno asportato un seno ad una ragazza, e ridere con loro parlando dei fidanzatini.
Con che faccia si recano in visita dai genitori anziani raccomandandosi per la loro salute, prima di fare un salto al golf club.
Mi auguro che li accompagni per tutta la vita una vergogna insostenibile per quello che hanno fatto, con premeditazione, organizzandosi, amministrando, pianificando.
Che camminino a testa bassa, senza mai alzare lo sguardo, vedendo marciapiedi e cicche e mai più il sole.
Quel primario ha scritto un sms: “io sono Arsenio Lupin”. Beh, Lupin mai avrebbe fatto cose del genere e… mai si sarebbe fatto beccare. Spero tanto che Zazà ti seghi le gambe!
Mi ricorda un po’ Josef Mengele.

http://it.youtube.com/watch?v=dM4bIq7AwRs